Definire i propri standard
Oggi parliamo di uno strumento relativo all’area del FARE, che ritengo molto utile e che suggerisco spesso ai miei coachee, soprattutto a chi è abituato, per carattere o educazione, a pretendere molto da se stesso.
Il motivo per cui lo considero così importante è legato al fatto che, quando si parla di successo, di obiettivi e anche di felicità, i segnali che riceviamo dal mondo che ci circonda sono spesso in contraddizione.
Da una parte, c’è chi dice che bisogna puntare al miglioramento, a definire obiettivi sempre più ambiziosi, a superare i propri limiti; questa posizione è esemplificata da questa frase di Les Brown:
Punta sempre alla luna, male che ti vada avrai vagabondato tra le stelle.
D’altra parte, c’è chi consiglia di limitare le proprie aspettative per non incorrere in delusioni, di perseguire la decrescita felice in ogni ambito della nostra vita, di limitare le ambizioni; come disse Gabriel García Márquez:
Non sforzarti tanto, le cose migliori accadono quando meno te lo aspetti.
A tutto questo aggiungiamo una “sana” etica del lavoro, che ci fa sentire a nostro agio solo dopo aver trascorso ore e ore a svolgere le nostre attività e in colpa se per caso ci prendiamo un momento di pausa, e magari la frase ricorrente in tante famiglie “hai preso un bel voto? hai fatto solo il tuo dovere”, et voilà, ecco che abbiamo una persona confusa e infelice.
Come possiamo quindi trovare un sano equilibrio fra queste due posizioni?
La strategia che io suggerisco è legata alla definizione dei propri standard, vale a dire dei parametri di misurazione delle proprie prestazioni, ed è estremamente semplice, quasi banale.
Immagina di essere a scuola e di veder valutati il tuo lavoro, i tuoi risultati, le tue performance, con un voto da 0 a 10.
Immagina che ottenere un 10 sia quasi impossibile perché la tua professoressa ha stabilito come tetto massimo, per i migliori risultati, un 9… anche se talvolta, tipo una volta ogni cinque anni, qualcuno riesce a strapparle un eccezionale 10 per l’assoluta perfezione delle risposte.
Tu sai inoltre che 6 rappresenta la sufficienza, ma sai anche che il giorno in cui dovessi tornare a casa con un semplice 6 i tuoi genitori ti accoglierebbero molto male, e in fondo nemmeno tu saresti soddisfatto di te.
Quindi, a ogni compito in classe o interrogazione, stabilisci nella tua testa un range – diciamo fra il 7 e il 9, ognuno ha il suo – che consideri soddisfacente. Ovviamente saresti super-contento di arrivare al 10, e considereresti preoccupante, ma non tanto da farti rischiare una bocciatura, un 6.
Ecco, ora fai lo stesso per il tuo lavoro, oggi.
Cerchi di dare il massimo, e quando ti assegni un 9 sei molto soddisfatto; in alcuni casi, ritieni anche di esserti meritato un 10, e in quei casi si festeggia alla grande! Il tuo obiettivo è rimanere quanto più possibile vicino al 9, e magari superarlo.
Tuttavia, se per caso dovessi assegnarti un 8, o addirittura un 7, non saresti insoddisfatto, perché sei comunque rimasto all’interno del range che TU hai definito come soddisfacente! Certo, se la media dovesse avvicinarsi al 7 cominceresti a prendere provvedimenti, a valutare e soppesare i dettagli, e correresti ai ripari con le dovute modifiche nelle strategie lavorative o con una formazione ad hoc.
Questo approccio è applicabile alla qualità del lavoro svolto così come alla quantità: l’importante è definire gli estremi all’interno dei quali possiamo ritenerci soddisfatti di noi.
All’inizio è necessario spendere un po’ di tempo per analizzarci, e probabilmente bisognerà forzarsi un po’ per allargare la forbice a sufficienza in modo da garantirci una certa serenità: il livello di benessere che si può raggiungere facendo questo sforzo ripaga però ampiamente dell’impegno profuso.
Prova, e mi saprai dire!
Ah, un’ultima cosa: perché non puntare al 10? Perché la vita è una professoressa molto severa, e la perfezione – soprattutto costante nel tempo – non è di questo mondo: ci si arriva molto più spesso e più facilmente se non si è oppressi dalla pressione di doverci arrivare per sentirsi “a posto” con se stessi.
:-) non so perchè, ma…casca giusto a fagiolo! O sbaglio? :-)