Le competenze di base di un coach
Oggi affrontiamo la questione “come si diventa coach?” dal punto di vista delle cosiddette soft skills, le competenze cioè che esulano dagli aspetti tecnici e riguardano quelli cognitivi, relazionali, realizzativi e manageriali: tutti aspetti che contribuiscono, insieme ad altri, a rendere un coach… un vero coach.
Le principali competenze di base che un coach deve avere sono, secondo me ma non solo, la capacità di:
- ascoltare attivamente ed empaticamente,
- sospendere il giudizio accogliendo il coachee e le sue istanze in piena neutralità,
- diventare l’alleato del coachee nel percorso verso la concretizzazione dell’obiettivo prefissato.
ASCOLTO ATTIVO
Il coach deve saper prestare attenzione al detto e anche al non detto, distinguere i contenuti dalla forma con la quale vengono esposti, rilevare i modelli di pensiero e di comportamento che, ripetuti nel tempo e quindi non più visibili agli occhi del coachee, possono costituire il principale ostacolo alla realizzazione del risultato.
Tutti noi ci ritroviamo a ripetere come un automatismo frasi che rivelano specifiche convinzioni (esempi banalissimi: “così è la vita”, “così vanno le cose”) o a reagire con un certo comportamento a stimoli esterni che potrebbero in realtà generare reazioni diverse (altro esempio banalissimo: ad un complimento, c’è chi si imbarazza, chi si arrabbia, chi addirittura si sente preso in giro, e chi ringrazia con un sorriso).
Non ce ne accorgiamo più perché ormai fa parte della nostra programmazione, come se fosse innestato una sorta di pilota automatico, né se ne accorgono le persone intorno a noi, che ci sono abituate e inoltre hanno probabilmente affinità di pensiero e comportamento con noi. Il coach invece deve saper notare lo schema e aiutare il coachee ad acquisirne consapevolezza: a volte questo semplice passaggio è sufficiente per risolvere situazioni anche molto complesse!
Si tratta di una competenza essenziale che posso immaginare faccia parte del corredo genetico di alcuni, ma che nella maggior parte dei casi (incluso il mio) va acquisita e allenata.
SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO
Partiamo dal presupposto che la relazione di coaching sia basata sul reciproco rispetto, il che implica – fra le altre cose – una verifica, in sede di primo incontro, della compatibilità fra i principi etici di entrambi.
Se ad esempio l’obiettivo del coachee fosse in contrasto con i valori del coach non potrebbe esistere la relazione (se vi interessasse approfondire l’argomento, consiglio la lettura di questo articolo, che io ho trovato illuminante) e fa parte dell’etica del professionista decidere di non avviare a priori un percorso che, nel migliore dei casi, sarebbe fallimentare.
Ciò premesso, il coach deve essere in grado di ascoltare il coachee senza formulare, anche solo mentalmente, alcun giudizio sulla validità o meno dei contenuti di quanto gli viene detto. Esistono infiniti modi di vivere la vita, di considerare un singolo evento, di affrontare una specifica situazione, e il coach è tenuto a rispettarli tutti.
Ne consegue che il coach non dispensa consigli, i quali sono l’espressione del suo modo di vivere, pensare, affrontare le situazioni: il coachee viene portato a riflettere sui propri contenuti e a trovare le proprie modalità personali di gestire il percorso, e per farlo deve potersi esprimere in piena libertà.
Anche in questo caso non si tratta di un’abilità innata di molte persone, in quanto è piuttosto insito nella natura umana formulare ed esprimere giudizi: va allenata, allenata e allenata.
ALLEARSI CON IL COACHEE
Il coach deve essere in grado di camminare a fianco del coachee lungo il percorso verso il raggiungimento del risultato, per poterlo:
- sostenere nei momenti di difficoltà,
- spronare in quelli di stanchezza,
- aiutarlo a sorridere in quelli di scoraggiamento e infine
- festeggiare con lui i successi ottenuti.
Non deve farsi coinvolgere emotivamente, ma deve tenerci!
E’ facile andare avanti quando le cose si muovono nella direzione giusta, ma nel momento in cui il coachee deve affrontare una difficoltà importante, il coach deve crederci anche un po’ per lui (o almeno così la vedo io).
Ho incontrato molte persone con la capacità di aiutare e sostenere gli altri, prendendosi a cuore le loro problematiche, quindi la ritengo una capacità innata. Tuttavia credo debba essere indirizzata e incanalata, per evitare un coinvolgimento personale ed emotivo che non è di sostegno al coachee e anzi si trasformerebbe in una ulteriore zavorra appesantendo il processo di coaching.
Naturalmente queste sono solo alcune delle competenze che concorrono a formare e definire a tutto tondo la figura professionale del coach: diciamo che rappresentano la conditio sine qua non, le fondamenta minime indispensabili sulle quali costruire una professionalità.
Se vuoi saperne di più, scrivimi!
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