Promemoria sul CAMBIAMENTO (nostro e altrui)
Il post di questa settimana avrebbe dovuto, nei miei piani, trattare tutt’altro argomento, ma oggi pare non voler proprio uscire dalla penna – ops, dalla tastiera – e il motivo è presto detto: in questi giorni ho avuto più volte l’occasione di confrontarmi con una situazione che, nonostante tutto il lavoro che faccio su me stessa, continua a farmi pensare ogni volta che si presenta.
Immagino che sia capitato anche a te: qualcuno che ti è vicino, magari un famigliare, un amico o un collega del tuo stesso ufficio, o qualcuno che sta al fianco di una persona cui tu vuoi bene, si abbandona a comportamenti che tutto sono meno che costruttivi, come la lamentela, l’autocommiserazione, il perdere tempo con questioni che non lo riguardano (pettegolezzi) o sulle quali non ha modo di intervenire
direttamente (ingiustizie nelle varie parti del mondo, conflitti religiosi o ideologici, macroeconomia), la chiacchiera incontrollata o la dipendenza da videogiochi, TV o PC.
Tu vorresti intervenire, spronarlo ad agire/reagire, sostenerlo nel riprendere un percorso diverso, nel trovare uno scopo. Insomma, vorresti aiutare.
E ti ritrovi, dopo mesi e mesi in cui hai da una parte sopportato ma dall’altra colto ogni occasione per mandare i “segnali giusti” esprimendo la tua opinione, a cercare o ad accettare lo scontro, già sapendo che ne uscirete entrambi perdenti ma sperando che questo smuova finalmente le acque.
La conclusione è un inevitabile disastro, e purtroppo questo, in alcuni casi, genera anche un senso di rassegnazione che si evolve poi in un disinvestimento dalla relazione, a qualunque livello questa si trovi.
Il fatto è che le persone non cambiano perché lo vogliamo noi, anche se riteniamo che sia per il meglio. Le persone cambiano solo se e quando hanno deciso autonomamente di farlo, e hanno trovato un valido perché.
E non è certo un segreto, solo che tendiamo spesso a dimenticarlo, soprattutto quando siamo coinvolti emotivamente. Tendiamo a voler aiutare. A voler controllare come andranno le cose. Vogliamo essere sicuri che l’altro starà bene, ma la verità è che questo potrebbe anche non accadere.
Per quanto si sia convinti che migliorare si possa e in un certo senso si debba (io di sicuro lo sono), non sono le nostre convinzioni a contare in questi casi, ma quelle dell’altra persona. Che potrà scegliere se rimboccarsi le maniche oppure no, se cambiare abitudini oppure no, se accettare le cose per come sono e impegnarsi a cambiarle oppure no. E noi non possiamo farci niente.
O meglio, possiamo fare molto con il nostro esempio, occupandoci delle nostre abitudini disfunzionali, delle nostre tendenze alla lamentela e all’autocommiserazione, della nostra tendenza a rimandare o a svolgere certi compiti. Possiamo stare meglio con noi stessi e migliorare il nostro modo di rapportarci all’ambiente intorno a noi.
A volte non è facile, ma questa è la sola scelta a nostra disposizione. Tanto vale impegnarci in questo senso e vedere come va a finire!
P.S. per un coach è naturale portare avanti questo atteggiamento in una relazione di coaching, mentre può risultare più difficile in una relazione personale proprio perché, in quanto coach, credere nel miglioramento fa parte del suo modo d’essere.
Anche i coach hanno le loro aree di miglioramento, abbiate pazienza!
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!